Kilimanjaro - 5.895 mt.

3/7 Diario della salita

13 Novembre 2014 È mattina presto, molto presto. La piccola stanza dove, insieme al compagno di salita Jacques ed alla guida Faustin, abbiamo passato la notte è ancora avvolta nel buio. Faustin e Jacques armeggiano con i loro zaini alla luce delle frontali mentre da fuori giungono chiari segni del Barranco Camp che si sveglia e si rianima. Ci troviamo a 4000 mt, siamo arrivati qui ieri sera, dopo una giornata di cammino quasi interamente passata sotto una pioggia torrenziale che ci ha stremato più della camminata.

Siamo arrivati completamente fradici e intirizziti dal vento incessante. La guida ha così deciso di farci dormire nella baracca dei rangers anziché montare le tende nella distesa di fango in cui il campo si era trasformato. Nonostante la stanchezza, la notte ho un sonno leggero e agitato. Probabilmente sento già la tensione dell’esame, la resa dei conti. Oggi infatti sarà la giornata decisiva, quella in cui si sale all’ultimo campo e dopo appena qualche ora, nel cuore della notte, si parte per la vetta. Sono ore decisive, se si è fatto tutto bene e le condizioni fisiche e meteo son buone si sale, altrimenti si pagano gli errori senza che ci sia la possibilità di rimediare con seconde opportunità. Non c’è il tempo. Domani bisogna scendere, che si sia riusciti oppure no. Sono ore piene di dubbi e di interrogativi che rischiano di minare la determinazione necessaria alla salita. Mi sforzo di allontanare dalla mente i pensieri negativi e restare comunque ottimista. So che, salendo al prossimo campo e poi verso la vetta, troveremo temperature rigide e l’abbigliamento bagnatosi in questa tappa non può asciugare. Mi preoccupo soprattutto dei guanti e dei pantaloni, quelli più grossi sono zuppi e gli altri ho paura che non siano sufficientemente caldi per la salita in cima. Decido comunque di smettere di arrovellarmi la testa. … affronterò il problema quando si presenterà. Le prime luci del giorno fendono il buio della stanza. Lascio il caldo del mio sacco e mi alzo per andare fuori verso le latrine. Ormai ne ho viste tante da quando giro per le montagne del mondo ma non mi sono ancora abituato. La mattina, appena sveglio, faccio un po’ fatica a sorvolare su ciò che si vede e si sente entrando in una latrina. Torno nella baracca, intanto Faustin e Jacques hanno finito di preparare i loro zaini. Facciamo colazione insieme. Porridge caldo con miele, the, pane tostato, uova bollite e wurstel con ketchup. Oggi rifiuto gentilmente l’insistente invito della guida per mangiare i wurstel. Ieri ho provato l’esperienza e non è necessario ripeterla. I miei compagni sono sorpresi e divertiti insieme, dalla “stranezza” delle abitudini italiane. Finisce tutto in una gran risata. Nel frattempo un tiepido sole fa capolino oltre le montagne così provo a stendere sulle rocce un po’ di biancheria. Non c’è il tempo di asciugarla completamente. Infatti al massimo fra mezzora ci rimetteremo in marcia. Ikame, la mia guida, è un ragazzo sulla trentina. Viene dal vicino villaggio di Marangu ed ha sempre lavorato nella montagna. Ha iniziato come portatore, spaccandosi la schiena con i carichi da portare su e giù, ora da un paio di anni lavora come aiuto guida alle dipendenze di Faustin, the boss. Sogna di avviare una compagnia di guide insieme ad un suo amico che fa il suo stesso lavoro nei tour fotografici dei grandi parchi Africani. Rispetto alla carenza di attività di queste regioni, lui è fortunato. Infatti il Kilimanjaro è una delle poche montagne che è possibile salire ogni mese dell’anno. Questo assicura a chi vi lavora un reddito più o meno stabile. Intorno alle 08, Ikame ed io ci incamminiamo nel sentiero che sale verso una bastionata di rocce che dobbiamo superare con qualche passo di facile arrampicata reso però infido dalle abbondanti piogge di questi giorni e dall’umidità davvero elevata. Ben presto il tiepido sole che ci confortava alla partenza, viene sopraffatto da grossi nuvoloni neri che non nascondono le loro intenzioni. Mi rassegno a dover arrivare al campo ancora una volta bagnato.. Nella pausa pranzo facciamo sosta nel campo intermedio di Karanfu, cercando riparo dalla pioggia sotto la tettoia di una baracca peraltro già affollata di portatori e clienti. Prendo dallo zaino il “pacco pranzo” consegnatomi questa mattina dal cuoco. Non ho molto appetito ma cerco di mangiare qualcosa. Il pacco contiene 2 tramezzini ormai schiacciati e deformi, un uovo sodo, alcuni pezzi di carota, un succo di frutta con la cannuccia, due piccole banane ed un arancio tagliato a spicchi. Decido di assaggiare un tramezzino e do l’altro ad Ikame. Puah!! Orribile, tramezzino con burro e zucchero … “ma come caspita vi viene in mente”, penso tra me e me., Non sapendo dove sputarlo lo mando giù a fatica e prendo una banana per togliermi questo stucchevole sapore di zucchero e grasso dalla bocca. Consumo il pasto frugale chiacchierando allegramente con una coppia di Spagnoli conosciuti due giorni prima. Finito il veloce pasto, saluto gli spagnoli e ci auguriamo a vicenda di poterci incontrare sulla vetta. Siamo degli sconosciuti gli uni agli altri, ma avere un intento comune e conoscere le difficoltà che l’altro ha fino qui superato, per averle dovute superare noi stessi, accorcia moltissimo le distanze sul piano emotivo e ti fa “sentire il cuore” delle persone incontrate in montagna. Anche questo, come altri, è già un motivo sufficiente ad affrontare le difficoltà di una salita. Ci muoviamo sotto un’incessante pioggerellina, avvolti da una nebbia che non concede mai troppo spazio alla vista. Cammino da giorni al cospetto del “Kibo” il gigante Africano riuscendo a vederlo e fotografarlo solo in brevi momenti.

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